sabato 19 aprile 2008

INTERVISTA A MORENO BURATTINI, SCENEGGIATORE DI ZAGOR

Sceneggiatore di fumetti, scrittore, critico specializzato, curatore di mostre, libraio e collezionista di comics e autore teatrale, Moreno Burattini nasce il 7 settembre 1962 a San Marcello Pistoiese. Da sempre appassionato di fumetti, oggetto anche della sua tesi di laurea, dà vita nel 1985 alla fanzine "Collezionare" che nei suoi sette anni di attività ha cresciuto una piccola scuola di critici e di fumettisti: è su quelle pagine che crea il suo primo personaggio, Battista il Collezionista. Nel 1992 è tra i fondatori della prozine "Dime Press", tutta dedicata ai temi bonelliani. Moreno Burattini ha contribuito con i suoi articoli alle più importanti riviste specializzate e ha pubblicato vari libri di critica fumettistica e numerosi saggi, interventi e prefazioni su saggi e volumi. Ha organizzato numerose mostre in svariate sedi. La sua attività di sceneggiatore professionista ha inizio nel 1990 sulle pagine della rivista "Mostri" (Acme), dove compare una miniserie di racconti di ambientazione medievale. Seguono poi numerose sceneggiature per "Intrepido", "Lupo Alberto" e "Cattivik" (risultando per tre anni, tra il 1992 e il 1994, anche il curatore dei redazionali della testata dedicata a questo personaggio). Su "Lupo Alberto" scrive i testi per tre serie monotematiche di successo: "Le maialate di Enrico La Talpa", "McKenzie Memories" e "Vite da Talpe". Il suo esordio sotto il marchio Bonelli è datato maggio 1991, quando escono contemporaneamente il suo primo special di Cico ("Cico Trapper") e la sua prima storia di Zagor ("Pericolo Mortale"). Si è inaugurata così una nutrita serie di storie e di speciali zagoriani a sua firma che da allora proseguono a essere scritte e pubblicate ininterrottamente, al punto che Burattini risulta essere, dopo Guido Nolitta che ne è stato il creatore, lo sceneggiatore con il maggior numero di storie di Zagor all'attivo. Per la Bonelli, dove Burattini lavora anche come redattore, ha scritto anche storie del Comandante Mark. Nel 1995 gli sono stati attribuiti due premi prestigiosi: il Premio ANAFI come miglior soggettista e il Premio FUMO DI CHINA come miglior sceneggiatore umoristico, e nel corso del Salone di Lucca del 2003 ha vinto il Premio Gran Guinigi come miglior sceneggiatore, categoria per la quale ha vinto nel 2006 anche il Premio Cartoomics If. Dal gennaio 2007 è curatore di Zagor. Alla sua attività di critico e sceneggiatore va aggiunta quella di conferenziere sul linguaggio e sulla storia del fumetto e insegnante di sceneggiatura in corsi e lezioni tenuti in tutta Italia.
Parliamo un po' dei rapporti che intercorrono fra fumetto e letteratura, in particolare nel genere del giallo/poliziesco.
Hugo Pratt, il celebre autore di Corto Maltese, definiva il fumetto "letteratura disegnata". Il saggista Andrea Sani ritiene che questa definizione evidenzi gli stretti rapporti che intercorrono fra i comics e le opere letterarie, ma non metta abbastanza in luce le relazioni con il cinema, per cui propone la definizione di "narrativa disegnata": il primo termine indica, molto genericamente, quello che i comics hanno in comune sia con il cinema che con la letteratura (le strutture narrative), mentre il secondo specifica il carattere per cui se ne distinguono (l'elemento grafico). Sia il cinema, che la letteratura, che i fumetti hanno in comune lo scopo di raccontare delle storie: ciascun medium lo fa poi alla propria maniera, servendosi dei codici e delle potenzialità che gli sono propri, finendo comunque per influenzarsi a vicenda. Il fumetto condivide con la letteratura la parte dialogata (i testi nei balloon sono letterari come i dialoghi dei romanzi), e la costruzione di una trama scandita da scene che propongono al lettore l'intreccio degli eventi.
Qual è la differenza fra scrivere un racconto e una sceneggiatura per un fumetto?
Un racconto è autosufficiente, basta a se stesso. La sceneggiatura di un fumetto richiede un ulteriore passaggio prima che il prodotto giunga finito sotto gli occhi del lettore: il disegno.
Scrivere una sceneggiatura richiede la capacità di visualizzare mentalmente quel che verrà poi illustrato dal disegnatore, e la padronanza dei codici espressivi e dei ritmi del fumetto.
Data una scena che si vuole raccontare, occorre scegliere quante vignette utilizzare e quali inquadrature sfruttare perché il senso della storia venga veicolato nel modo più efficace possibile a chi poi la leggerà. Occorre anche tener conto che il dialogo dovrà essere per forza di cose limitato: le vignette troppo "scritte" sono controproducenti e il fumetto ha il suo punto di forza nella capacità evocativa delle immagini. Un fumetto è tanto più riuscito quanto più comunica attraverso i disegni.
Nelle sue sceneggiature c'è un misto di generi: si va dal giallo al mistero, dall'avventura all'umorismo. Come si fa a combinare in una storia così tanti generi?
La maggior parte delle mie sceneggiature riguardano Zagor, un personaggio storico del fumetto italiano (e molto noto anche in parecchi altri paesi del mondo). Zagor non è una mia invenzione, essendo stato creato addirittura un anno prima che io nascessi. E' sempre stato però il mio eroe preferito, e ormai ne scrivo le storie da quasi venti anni. La commistione dei generi in Zagor fa parte del personaggio per una precisa volontà dei due creatori, lo sceneggiatore Guido Nolitta (alias Sergio Bonelli) e il disegnatore Gallieno Ferri, i quali vollero dare vita, nel 1961, a un eroe che desse libero sfogo alla fantasia permettendo di spaziare all'interno dei loro gusti, le loro passioni, le loro letture. Io, dopo essere cresciuto leggendo le loro storie, mi sono ritrovato a condividere perfettamente il loro progetto e continuo a far vivere all'eroe avventure che mescolano (spero in modo convincente e ancora avvincente come accadeva all'inizio della saga zagoriana) western e horror, giallo e umorismo, avventura e fantasy, racconto storico e fantascienza. Del resto ho sempre letto di tutto e visto film di qualunque genere, senza porre steccati o avere pregiudizi, per cui volentieri riverso nei miei racconti spunti e suggestioni provenienti dalle mie esperienze di lettore curioso e spettatore disposto a farsi meravigliare, lasciando contaminare le mie storie dai generi più diversi. La realtà stessa, in ogni caso, è "contaminata": la vita è fatta di una molteplicità di aspetti e di sfaccettature, è ogni giorno viviamo momenti comici e momenti drammatici. C'è del dramma nel comico e della comicità nel drammatico.
Cosa si muove nell'ambito dei fumetti di genere poliziesco-giallo, caratterizzati da un ampio respiro narrativo, all'italiana, o meglio alla "bonelliana"?
Dopo la chiusura di Nick Raider, il giallo di casa Bonelli si chiama Julia, un personaggio a fumetti scritto da Giancarlo Berardi. Julia, criminologa di una immaginaria città americana, ha un buon successo di vendite e un alto gradimento soprattutto fra il pubblico femminile, dato che mescola al giallo anche elementi rosa che stemperano la durezza di certe trame, crude come cruda è la cronaca nera dei nostri giorni. Oltre all'albo mensile, Julia manda in edicola una volta all'anno anche l' "Almanacco del Giallo" in cui oltre a una storia a fumetti vengono proposti anche articoli e recensioni su film, romanzi, fumetti gialli d'attualità e brevi saggi retrospettivi su scrittori e registi della storia del thriller e del noir.
Una domanda più tecnica. Ci può esporre le fasi del meccanismo creativo di una storia a fumetti dall'impostazione di una trama alla costruzione della storia in tutti i suoi dettagli?
Il lavoro dello sceneggiatore di fumetti consiste essenzialmente in due fasi. La prima è la stesura del soggetto, la seconda è la scrittura della sceneggiatura. Ideare un soggetto significa pensare a una storia adatta al personaggio, alla casa editrice e al pubblico per cui si intende lavorare. Il soggetto deve avere un inizio, una fine e varie passaggi intermedi funzionali e funzionanti. Serve insomma una concatenazione logica degli eventi e il meccanismo progettato deve essere in grado di ingranare e muoversi senza incepparsi. Alla base del soggetto c'è sempre un'idea, uno spunto, un guizzo d'ingegno che poi viene messo a punto a forza di elucubrarci su. Il progetto così costruito viene presentato all'approvazione dell' "editor" della Casa editrice, cioè dal supervisore incaricato dall'editore di dare il via libera alla realizzazione (talvolta il supervisore può essere l'editore stesso). A questo punto si passa alla fase della sceneggiatura: tenendo presente qual è il risultato che si vuole ottenere (una storia di un certo numero di pagine che comunichi certe emozioni o trasmetta certi messaggi), lo sceneggiatore decide quante vignette destinare a ogni singola scena, come inquadrare ogni singola vignetta in modo da dare il giusto ritmo e il giusto pathos. Infine scrive i dialoghi. Dopodiché la palla passa al disegnatore, chiamato a visualizzare graficamente tutto quanto, eseguendo le istruzioni e possibilmente mettendoci del suo.
Dal suo osservatorio privilegiato ci può dire quali sono oggi le tendenze del fumetto, indipendentemente dai contenuti (le graphic novel, le strisce, i panel, le storie da comic book e così via). E per quanto riguarda nello specifico il fumetto di spiccata impronta poliziesca?
Il fumetto sta attraversando una grave crisi dovuta alla concorrenza di altre forme di intrattenimento. TV, playstation, Internet, chat (ma anche la palestra, per fare un esempio di altro genere) distraggono il pubblico dalla lettura. Ciò non significa che i comics siano destinati a una rapida scomparsa, anche perché il loro linguaggio continua a essere attuale e in continua evoluzione, però c'è una evidente contrazione delle vendite e si cercano nuovi canali di diffusione. Ciò nonostante, la produzione continua a essere notevole per qualità e quantità. E soprattutto, è diversificata: ci sono sempre i classici fumetti popolari venduti in edicola ma si propongono anche sempre più spesso graphic novel e albi distribuiti in fumetteria o in libreria. Soprattutto, sono estremamente vari i temi trattati: una volta il fumetto voleva dire soprattutto evasione, avventura o divertimento, oggi si può davvero parlare di tutto, anche della realtà sociale iraniana (come nel caso del celebre "Persepolis") o dei campi di sterminio nazisti (come accade nel capolavoro "Maus").
Il fumetto è un medium adulto.
In campo poliziesco, come non segnalare la rinascita in veste fumettistica in chiave moderna del "poliziottesco" anni Settanta, con i volumi della serie "Milano Criminale" scritti da Diego Cajelli?
Susanna Daniele

martedì 8 aprile 2008

Giampaolo Simi alla Giunti il 13 aprile

Domenica 13 alle ore 17,30 presso la libreria Giunti al Punto in Via de’ Fabbri 26 a Pistoia Presentazione del nuovo libro “Rosa elettrica”di Giampaolo Simi a cura di Giuseppe Prevìti e Stefano Fiori dell’Associazione Giallo Pistoia

Giampaolo Simi
Giampaolo Simi è nato a Viareggio nel 1965. Si è sempre interessato prevalentemente di narrativa di genere, dal fantastico all'horror, dal giallo al noir. Ha pubblicato i romanzi "Il buio sotto la candela" (1996 Baroni editore, premio Nino Savarese, di prossima ripubblicazione), "Direttissimi altrove" (1999 collana VoxNoir di DeriveApprodi, finalista premio Scerbanenco), "Figli del tramonto" (2000 Hobby&Work), "Tutto o Nulla" (2001 DeriveApprodi, 2002 Neri del Giallo Mondadori, finalista premio Scerbanenco), "L'occhio del rospo" (2001, ADN Kronos Libri), "Il corpo dell'Inglese" (2004, Stile Libero Noir Einaudi). "Direttissimi altrove" e "Tutto o Nulla" sono stati tradotti e pubblicati in Francia nella Série Noire di Gallimard, "Tutto o Nulla" è stato tradotto e pubblicato in Germania dalle edizioni Goldmann Verlag.
Pubblicista, collabora con riviste e quotidiani.

Rosa elettrica
Cociss ha appena compiuto diciotto anni. È già capozona nel quartiere 167, ha una ventina di soldati sotto di sé che spacciano cocaina e altro. C'è stata una faida, per sbaglio sono state uccise anche due bambine. Cociss viene arrestato e subito parla. Può portare in alto. Il compito di proteggerlo è affidato a Rosa, giovane poliziotta al suo primo incarico serio. Lei crede di avere una missione. Ci metterà poco a capire che c'è qualcosa di poco chiaro nel programma di protezione di Cociss, malgrado le rassicurazioni del commissario. Quando scopre che forse Cociss è la vittima sacrificale designata dai clan, Rosa si ribella. E fugge con il ragazzo, per salvarlo, arrogandosi un diritto che non ha.

giovedì 3 aprile 2008

IL NOIR NEL MEDITTERRANEO

Il noir nel Mediterraneo

Incontro dell’Associazione Amici del Giallo del 25/02/08

INTRODUZIONE a cura di Giuseppe Previti

Le origini del Noir Mediterraneo si perdono nella notte dei tempi, secondo alcuni si potrebbe partire dalla Bibbia, la prima grande “antologia”che raccoglie crimini e storie, a partire dalla cruenta morte di Abele ad opera di Caino.
E altre due raccolte tipicamente Noir, che cantano gesta di crimini, guerre e atrocità varie, ma anche di avventure, viaggi, misteri, assassini, sono l'Iliade e l'Odissea.
Secondo un grande esperto del ramo, Patrick Raynal, direttore della più famosa collana di noir del mondo, la Sèrie Noire di Gallimard, addirittura il primo romanzo noir della storia sarebbe l'Edipo Re di Eschilo. Se il noir è uno sguardo sul lato oscuro e criminale del mondo,un mondo soggetto a un sentimento ineluttabile di fatalità, ecco che l'Edipo Re può ben essere considerato un anticipatore del genere.
Venendo a tempi più vicini a noi, il romanzo noir ha un'origine tipicamente americana, dove i connotati volutamente forti delle storie, si accompagnano a un'analisi critica delle condizioni sociali dell'uomo dei nostri tempi. Tempi brutti, opprimenti, di crisi.
Il noir mediterraneo ha un'origine diversa, si svolge in un ambiente sempre segnato dalla violenza ma anche dalla bellezza dei luoghi dove si svolge.
E proprio questa bellezza e solarità dei luoghi e delle atmosfere ha fatto sì che per oltre due millenni nessuno si è occupato del lato oscuro e tragico e delle sue implicazioni. Dall'antica Roma alla letteratura araba, dalle chansons de geste alla letteratura epica e cavalleresca fino al Seicento e Settecento, i vari cantori rifuggono dall'occuparsi di tragedie e violenze. La stessa letteratura picaresca spagnola esalta il carattere comico e gioioso dei vari personaggi di cui parla, dai truffatori ai ladri ai violenti.
Non mancano degli esempi contrari, Niccolò Machiavelli è il portatore di una commistione tra la politica e il mondo della criminalità, addirittura Dante è il primo autore che ricostruisce la storia dei più grandi crimini e criminali del suo tempo.
Sarà l'Ottocento a presentare grandi scrittori che approfondiranno con le loro opere lo studio degli ambienti e dei tempi dove nasce il crimine, indagandone l'aspetto sociale e psicologico. Ma è un fenomeno legato alla letteratura nordica in generale, all'affermazione del romanzo gotico fino ai gialli moderni di Conan Doyle.
I francesi già guardano al Mediterraneo. Il primo è Dumas che fa iniziare le peripezie del conte di Montecristo a Marsiglia e nel mare che la bagna.
Nel Novecento si affermerà il noir mediterraneo. La definizione “noir” è logicamente francese, il genere però nasce in America. Chandler e Hammett ne sono i capiscuola, gli americani parlano di “hard-boiled”. Ci si stacca completamente dal giallo classico tradizionale dove il poliziotto risolve l'enigma o l'investigatore, per lo più un raffinato dilettante, dipana le trame più intricate.
Nel noir abbiamo un mondo dove le regole sono la prevaricazione, la violenza, l'ingiustizia, non c'è più a predominare la figura dell'investigatore che risolve tutto e mette tutto a posto.
I confini tra la legalità e l'illegalità sono sempre meno netti, le grandi metropoli ma anche ormai le città di provincia sono delle vere e proprie giungle d'asfalto dove vivono emarginati e disperati disposti a tutto.
Sarà un autore francese, Jean-Patrick Manchette, negli anni Settanta, a definire il noir contemporaneo come il trionfo del pessimismo, del sangue, della violenza, ma anche del vivere comune che di tutte queste è ormai permeato. Ecco che il noir non è più scrittura di evasione, diventa la realtà letteraria dei nostri tempi.
Sono connotazioni per lo più riferibili alla letteratura americana, nordica, legata a condizioni sociali e ambientali di vita nelle grandi metropoli, con susseguente sradicamento e dissolvimento dei legami familiari. La realtà dei territori che gravano attorno al Mediterraneo è ben diversa, con forti legami familiari, con accentuato spirito di clan, una società molto chiusa, aree urbane mai troppo estese.
Il primo autore contemporaneo di noir è considerato Albert Camus, un francese di Algeria (un pied-noir) che nei suoi romanzi rinnova elementi antichi e dimenticati di questa area geografica: il senso dello sradicamento, dovuto alle tante migrazioni che hanno caratterizzato la storia del Mare Nostrum, un destino atavico di tragedia, un senso di solitudine e indifferenza per la sorte di questi individui, la cui vita è contrassegnata da sofferenza e violenza.
Forse una connotazione più moderna del noir mediterraneo la possiamo scoprire studiando la letteratura del Mediterraneo orientale. Tra questi autori mediorientali, egiziani, ma anche balcanici, è più vivo il senso tragico della vita, una vita in moto perenne che porta a uno sradicamento altrettanto duraturo. In questa letteratura i protagonisti sono sottoproletari, marinai, viaggiatori, contrabbandieri che trovano nei porti mediterranei materia di scambio commerciale e umano, ma anche violenza e odio.
Negli anni Settanta il noir dall'America arriva in Europa, tramite la Francia, ma è una derivazione di chiara impronta nordamericana. Racconta le grandi metropoli, in primis Parigi in un mondo fortemente politicizzato. E' ben vicina l'influenza del Sessantotto. Nella letteratura noir si riversano i pessimismi di chi voleva cambiare il mondo ma non vi è riuscito; sono rimaste tutte le bruttezze, le bassezze, le ingiustizie, i poteri occulti, il marcio del potere e la disperazione di chi subisce.
Non troviamo il Mediterraneo in questi libri. Ne mancano lo scenario, i colori, gli odori. Qui la violenza è grigia e fredda come lo sono le città del Nord Europa. La violenza mediterranea ha altre origini, nasce dallo stordimento per quel sole troppo forte, dalle passioni feroci del sud, dalla bellezza opprimente. Mancano i tanti e diversi popoli che si affacciano sul Mediterraneo, e principalmente mancano i colori, l'azzurro e il nero che sempre dominano.
Uno dei primi autori che hanno affrontato il noir mediterraneo è Manuel Vasquez Montalban, spagnolo, che ha messo al centro dei suoi romanzi la grande Barcellona. In essi una parte importante hanno il cibo, la gastronomia, i piaceri della tavola e della vita sulle rive del Mediterraneo. C'è poi una dimensione politica forte, legata ai conflitti passati e presenti di quest'area.
In altri autori, da Izzo a Khadra, da Martin a Carlotto, troviamo le stesse caratteristiche, ma Montalban di suo ci mette un tono quasi da commedia, dove si è più vicini al romanzo poliziesco tradizionale.
Ancora la Spagna vanta altri autori importanti fra i quali spicca Alicia Gimenez Bartlett.
Ma dove irrompe veramente la violenza, riallacciandosi così all'antica tradizione della tragedia mediterranea con i romanzi del marsigliese Jean-Claude Izzo, dell'algerino Jasmina Khadra, del greco Petros Markaris.
Nei romanzi di questi autori, si raccontano storie nate nei porti di Marsiglia, di Algeri, di Barcellona, di Napoli. Il Mediterraneo visto come area di scontri, di conflitti politici ed etnici, come luogo di saccheggio e di sopravvivenza, di migrazioni drammatiche, di guerre, di concentrazioni, di interessi colossali.
Né va dimenticato che anche la criminalità si è globalizzata, così alla mafia siciliana, alla camorra, al milieu marsigliese, ai magrebini, si è ora aggiunta la criminalità slava, cinese, nigeriana.
Una realtà in continua trasformazione sotto la spinta di nuove migrazioni e di nuovi interessi criminali. Una realtà assai composita e complessa, una situazione in cui è ulteriormente accentuata l'ambiguità, la confusione tra bene e male, tra buoni e cattivi e i personaggi di questi romanzi sono poliziotti o, meglio ancora, ex-poliziotti, investigatori privati, piccoli criminali.
Sono personaggi consapevoli della crescita sempre più minacciosa di un potere politico sempre più connivente con la criminalità o anche semplicemente incapace di combatterla. Sono personaggi che cercano sempre di difendere i perdenti del grande gioco.
Non badano tanto alla soluzione del caso ma usano tutti i mezzi, anche illegali, per proteggere i deboli e dar fastidio ai potenti. Sono romanzi ambientati nelle città di mare, nei porti o anche in crocevia di zone commercialmente importanti.
L'atmosfera degli autori del noir mediterraneo è sempre cupa e pessimista, come di chi veda le proprie città, il proprio mare contaminati da questi continui assalti criminali. Sono sempre alle prese con un forte contrasto: da una parte c’è la vita mediterranea fatta di cibo, vino, amicizia, ospitalità, solidarietà, cielo azzurro, mare pulito, dall'altra una sempre più crescente violenza, corruzione, avidità, che tenta di sopraffare quel che vi è di buono.
Nel panorama del giallo francese di impronta mediterranea possiamo citare Jean-Claude Izzo, Patrick Manchette, Renè Fregni e Hugues Pagan, Xavier-Marie Bonnot, tutti ispirati dalla grande Marsiglia.
Il noir mediterraneo non è di facile collocazione se veniamo a una realtà italiana dove il giallo del resto assume una sua connotazione più precisa a partire dagli anni Sessanta, con il successo di Giorgio Scerbanenco.
In un celebre saggio di mezzo secolo fa “Geografia e Storia della letteratura italiana” lo storico della letteratura Carlo Dionisotti parlando della nostra tradizione letteraria, diceva: “Si sa bene che nella prima metà del Duecento corre dalla Sicilia lungo la fascia tirrenica un flusso di nuova poesia che invade e dilaga in Toscana, supera d'impeto l'Appennino pistoiese e si ingrossa ma si arresta anche a Bologna. Estranea in gran parte tutta la fascia adriatica, e qui, fra Abruzzi e Marche, facendo centro nell'Umbria francescana, fiorisce una tutt'altra poesia letteraria. Finalmente una terza zona a sua volta indipendente dalle prime due si disegna a nord della dorsale appenninica e del Po....”.
La storia degli ultimi trent'anni di letteratura poliziesca appare subordinata alla geografia e la trattazione degli autori ruota ancor più nel dettaglio attorno alla topografia urbana o provinciale entro la quale hanno ambientato le loro storie.
Le notti e le nebbie di Milano per Scerbanenco nei suoi polizieschi metropolitani, la placidità falsamente sonnolenta dei portici e dei chiostri bolognesi per una vera e propria scuola del delitto di carta del capostipite Loriano Macchiavelli, la Napoli vivissima, brulicante e sciamannata di Attilio Veraldi, la provincia del commissario Boffa di Luciano Anselmi, la Firenze storica ante-guerra di Leonardo Gori o quella viva e palpitante degli anni sessanta di Marco Vichi.
Un'Italia dalla vocazione municipalistica più che di grande respiro mediterraneo, verrebbe da dire, e anche i suoi scrittori tutto sommato sembrano più aderire a questi connotati “campanilistici” che a una scuola di carattere generale.
Leonardo Sciascia è un autore mediterraneo nella cui opera domina la ricerca della verità e il racconto di una società dominata e corrosa dalla mafia. Molti dei suoi libri sono dei veri e propri gialli, lui che è stato uno dei più grandi scrittori del nostro firmamento letterario.
Sciascia racconta il crimine, la violenza, la mafia, ma la sua è la visione di una Sicilia sostanzialmente ferma nel tempo e nello spazio, così la criminalità che ci fa vedere lui è rimasta ferma nel tempo e nello spazio, immutabile nei suoi riti e nei suoi propositi.
Di Sicilia scrive pure Andrea Camilleri, per lui più che la realtà criminale sembra contare la commedia di costume, l’attenzione manichea al linguaggio, all'uso del dialetto, agli usi e costumi della regione.
Vogliamo pure ricordare lo scrittore napoletano Peppe Ferrandino, che affronta la realtà alterandola, parlando sì di crimini nel Mediterraneo, ma cogliendoli come spunto per raccontare qualcosa che va oltre la vicenda poliziesca.
La grande assente nella narrativa di indagine italiana degli anni Settanta e Ottanta è stata la mafia e di conseguenza, la Sicilia. E' stato Enzo Russo che nel 1988 dà inizio a una produzione che, pur sfuggendo a una catalogazione ben precisa di genere, può essere ricondotta alla generica categoria del “romanzo di mafia”.
Tre i suoi romanzi “Uomo di rispetto”, “Il quattordicesimo zero”, “Nato in Sicilia” che compiono un percorso. Nel primo si parla di un anonimo mafioso, nel secondo dei vertici di Cosa Nostra, nel terzo di un commerciante siciliano trapiantato al Nord. Si ricostruiscono cinquant'anni di violenza in Sicilia, senza moralismi o patetiche difese di ufficio, cercando di porre il lettore di fronte alla realtà: quella che per troppo tempo in Italia pochi hanno cercato di sondare e descrivere nella sua complessità e pericolosità sociale.
Altro scrittore impegnato sul fronte della mafia è Alfio Caruso, che affronta il fenomeno mafioso partendo dalla sua riorganizzazione in vista del nuovo millennio, proseguendo poi con una lunga serie di romanzi a occuparsi della escalation della mafia negli anni Novanta e Duemila, lanciando anche varie ipotesi sui tanti misteri che hanno sconvolto a più riprese il Paese.
In conclusione di questo lungo excursus dai tempi biblici ai giorni nostri, va lasciato margine alla fantasia del lettore se il calore e il colore del Mediterraneo ha ancora oggi una valenza nel genere di cui ci stiamo occupando. La realtà ci porta tutti giorni a vedere fatti sempre più tragici: dai cadaveri degli immigrati che galleggiano in mare alle scorrerie dei contrabbandieri, le grandi città di mare sono sempre presenti con i loro problemi di violenza, criminalità, di commistioni di popoli diversi.
Ai romanzieri il compito di tramandare e raccontare tutto questo.

BARCELLONA a cura di Cristina Bianchi

Alcuni cenni storici e scenari
Guerra civile spagnola (1936-39); Dittatura franchista fino al 1975 (36 anni).
Olimpiadi del 1992. creazione del lungomare, della spiaggia e degli impianti sportivi sul Montjuic. Da qui inizia il Rinascimento barcellonese, che non si è ancora fermato.
Abitanti: 1.600.000 (2005).
Suddivisione territoriale: 10 distretti.
Spirito indipendentista all’interno dello Stato spagnolo (contrariamente ai Paesi Baschi, che aspirano alla costituzione di uno Stato basco).
Forte caratterizzazione regionale: si parla il catalano; nel 1984 c’erano locali in cui si ballava il flamenco e si potevano comprare le bambole in costume da flamenqueros. Adesso si balla la sardana, danza catalana a cui è stato dedicato un monumento sul Montjuic. Attualmente esiste solo una Plaza de Toros in cui si svolgono due corride la domenica, ma entro il 2010 verrà chiusa anche questa arena.
Atene ed Algeri sono città gemellate con Barcellona.

MANUEL VASQUEZ MONTALBAN a cura di Fabio Schiavetta
(Barcellona, 14 luglio 1939Bangkok, 18 ottobre 2003), laureato in filosofia, giornalista e scrittore. Catalano molto legato a Barcellona, è il creatore del personaggio Pepe CARVALHO.
Lo scrittore MONTALBAN era stato incarcerato per “attività contro lo stato” per aver scritto e diffuso alcuni “pezzi” che criticavano l’operato di Francisco Franco il Caudillo (in spagnolo significa capo politico/militare) rimasto al potere dalla vittoria nella guerra civile spagnola del 1939 fino alla sua morte nel 1975.
Nei suoi racconti, pur essendo molto critico nei confronti dei Comunisti, fa sempre trasparire una certa nostalgia e ammirazione per chi ha avuto il coraggio di rimanere fedele a quell’ideale anche se “avevano vissuto quarant’anni nella giungla –intesa come clandestinità - per arrivare a cinque deputati” (dal romanzo “Gli Uccelli di Bangkok) nelle elezioni del dopo Franco.
L’autore MONTALBAN non considera i romanzi di Pepe CARVALHO polizieschi, bensì dei romanzi –cronaca che riguardano la Spagna della transizione dal Franchismo alla democrazia e della trasformazione di Barcellona, in particolare del periodo Olimpico (1992), quando interi vecchi quartieri vennero abbattuti totalmente per creare nuove e moderne strutture. Ad esempio tutta la zona denominata Poble Nou, dove prima erano esclusivamente piccole imprese artigiane e piccole industrie, fu totalmente abbattuta per costruire il villaggio ed il porto olimpico, nonché creare la spiaggia che Barcellona prima di allora, pur essendo città di mare, non aveva.
In effetti nella maggior parte dei romanzi di MONTALBAN si narrano vicende legate ad indagini fatte da Pepe CARVALHO come investigatore privato e non sempre riguardano delitti, ma anche ricerca di persone scomparse o casi di corruzione. La parte “gialla” o “poliziesca” non è delle più entusiasmanti, ma serve più che altro da pretesto per creare il romanzo, la storia. In tutti i racconti si trova sempre uno sfondo di malinconia per le delusioni che Pepe CARVALHO (e presumibilmente l’autore) ha avuto verso i suoi ideali giovanili.

PEPE CARVALHO a cura di Fabio Schiavetta

L’identificazione dell’autore con il suo personaggio è pressoché totale e lo riscontriamo in molti aspetti.
· Lo scrittore fa nascere (anagraficamente) Pepe CARVALHO nel 1939; ciò si desume dal fatto che nel racconto il “Tatuaggio” scritto nel 1972, l’autore afferma che lo stesso aveva 37 anni. È profondamente catalano, anche se l’autore lo fa nascere a Souto (nella provincia di Lugo in Galizia).
· Pepe è diminutivo di Josè - Giuseppe, nome completo JOSÉ CARVALHO TOURÓN, investigatore privato con un passato da intellettuale di sinistra e antifranchista (la cosa che lo unisce di più al suo stesso autore), già agente della CIA e grande amante della buona cucina e di donne.
· In alcune storie vi sono dei richiami alle origini contadine della famiglia di Pepe CARVALHO, che conobbe il padre solo nel 1944, quando ebbe modo di uscire di galera dove era stato incarcerato perché anche lui antifranchista e combattente nella Guerra Civile per i Repubblicani.
· Nonostante il primo romanzo con protagonista Pepe CARVALHO sia Yo maté a Kennedy (1972), molti ritengono che il primo vero romanzo della serie sia il “Tatuaggio”. Entrambi i romanzi presentano il personaggio, la cui personalità si sviluppa in una quindicina di romanzi e diversi racconti.
· Pepe CARVALHO vive a Barcellona (tutte le storie quantomeno iniziano e finiscono tutte in questa città), a Vallvidrera (quartiere residenziale a nord di Barcellona dove viveva anche MONTALBAN; ha scelto tale località perché da bambino suo padre, quando ne aveva la possibilità ce lo portava in gita). Abita in una villetta dove, appena rientra in casa, accende sempre il caminetto anche in piena estate perché “l’aiuta e riflettere ed a rilassarsi”.
· Frequenta spesso Casa Leopoldo (ristorante preferito di MONTALBAN), uno dei migliori (e costosi) locali di Barcellona nel popoloso e popolare quartiere del Raval (dove è nato MONTALBAN). Si tratta di un rione nelle vicinanze del porto, povero, dove si rifugiavano gli antifranchisti, i perdenti della Guerra Civile e, più in generale, i perdenti della vita; un quartiere una volta abitato da vagabondi e mutilati di guerra, mentre adesso ospita immigrati di tutte le etnie. Per la grande presenza di immigrati asiatici era chiamato anche Barrio Chino (quartiere cinese).
· CARVALHO è un grande cultore della buona cucina e dei buoni vini, nonché appassionato di cucina; in ogni libro c’è sempre qualche ricetta di piatti cucinati da lui stesso o dal suo aiutante Biscuter. Su questa passione MONTALBAN ha scritto anche un libro: “Le ricette di Pepe Carvalho
· Giovane studente universitario di lettere, oltre ad avere una sfrenata voglia di cultura, che lo porta a leggere migliaia di libri, CARVALHO inizia anche a seguire le ideologie di un suo professore universitario che lo coinvolge nelle attività sovversive contro il regime.
· Successivamente ha un rigurgito nei confronti dei libri e degli intellettuali: afferma che illudono il mondo. Da qui la sua abitudine di accendere il camino con uno dei numerosissimi libri della sua biblioteca: “gli restavano circa tremilacinquecento volumi sugli scaffali che gli imprigionavano le stanze … avrebbe potuto accendere tremilacinquecento falò per quasi dieci anni” .
· CARVALHO, come l’autore MONTALBAN, verrà imprigionato nel carcere di Lleida (una delle quattro province catalane) dove conosce uno dei personaggi che fanno da sfondo alle sue avventure: Biscuter. Nel carcere "La Modelo" di Barcellona, Pepe conosce Bromuro (Francisco Melgar), altro personaggio “pittoresco” presente in varie storie.
· Pepe CARVALHO si sposa con Muriel e dalla loro unione nasce una figlia, della quale non si saprà mai neanche il nome. Muriel è una fanatica comunista e forse è proprio questo fanatismo (parla di politica anche nei momenti di maggiore intimità) che lo farà allontanare dalla moglie e dall’ideologia comunista. L’autore parla di Muriel e della figlia solo nel primo romanzo “Ho ucciso J.F. Kennedy”, poi non ne parlerà mai più, tranne qualche accenno nell’ultimo romanzo “Millennio”.
· CARVALHO, lasciata la moglie si trasferisce negli stati Uniti dove inizia un’attività di traduttore, viene arruolato nelle CIA e poi come guardia del corpo della famiglia Kennedy. Il romanzo “Ho ucciso J.F. Kennedy” è piuttosto surreale: lo stesso Pepe CARVALHO da una parte viene indicato come una delle “guardia del corpo dei Kennedy”, che deve sorbirsi tutte le stranezze dei componenti la famiglia, tra cui Jacqueline Kennedy, Robert Kennedy e lo stesso Presidente John Fitzgerald Kennedy; nello stesso tempo viene indicato come pericoloso killer che entra negli Stati Uniti per uccidere il Presidente. Lasciata la CIA, dopo aver ucciso Kennedy su incarico della stessa Agenzia, rientra in Spagna e inizia la sua attività di investigatore privato a Barcellona in un ufficio vicino alle Ramblas.

PERSONAGGI FISSI NELLE STORIE DI PEPE CARVALHO
· CHARO (Rosario García López). Prostituta di mestiere e amante di CARVALHO che ha conosciuto nel 1971. Originaria di Águilas (Murcia). Dapprima si prostituiva in un locale (il Venezuela) mentre poi ha deciso di esercitare la sua professione in casa (in calle Perecamps a Barcellona). Nel 1991 lascia Carvalho e Barcellona accettando un posto offerto da un suo cliente: centralinista in un albergo ad Andorra anche perché CARVALHO si era innamorato platonicamente di un’altra donna.
· BISCUTER (José Plegamans Betriu), aiutante e cuoco di CARVALHO. Si conobbero nel carcere di Lleida in cui Pepe era detenuto per motivi politici mentre Biscuter come ladro di auto (da qui il nomignolo visto che Biscuter era il nome di un’utilitaria molto diffusa in Spagna negli anni '50 che lui era specializzato a rubare). Si rincontrano nel 1977 quando Biscuter, senza averlo riconosciuto, chiede 25 pesetas a CARVALHO. È l'inizio di una collaborazione che durerà per molti anni: Pepe fa il detective e Biscuter il segretario e cuoco per aiutarlo in seguito anche nelle investigazioni. Biscuter rimane spesso al margine dei casi ma è una figura sempre presente che suscita un'immediata simpatia nel lettore. Memorabili le sue peregrinazioni nei mercati e nelle botteghe di Barcellona alla ricerca delle materie prime dei piatti che cucina e sottopone all'insindacabile giudizio del proprio padre-padrone.
Rivelazione nell’ultimo libro “Millennio”, dove quest’omino sempre descritto come un piccolo sgorbio e totalmente succube di Pepe CARVALHO, viene riscattato quando effettuano il giro del mondo insieme e l’investigatore potrà scoprire che comunque il suo segretario si è creato una vita autonoma come grande cuoco ed organizzatore di grandi incontri culinari di alta cucina in particolare francese.
· Enric Fuster, nato a Villores in Catalogna (il luogo in cui si trovano secondo CARVALHO i tartufi più buoni del mondo), è un commercialista. Vicino di casa di CARVALHO e frequente compagno di cene che spesso iniziano tardi e si prolungano per quasi tutta la notte. Fine intenditore di cibi pregiati e distillati condivide con CARVALHO la passione per la cucina, accettando, per il gusto della tavola, di sottostare alle stranezze del suo ospite.
· Bromuro (Francisco Melgar). Conosce CARVALHO nel carcere "La Modelo" di Barcellona. Lustrascarpe, informatore, sostiene che il governo immetta del bromuro nella rete idrica per sedare animi e voglie. Muore di cirrosi epatica nell'ottobre del 1988 ed è sepolto al cimitero di Montjuïc a Barcellona.
· Ispettore Contreras, poliziotto franchista e nemico di CARVALHO. Infatti non ha un buon rapporto con le istituzioni, un po’ per il solito scetticismo con cui i poliziotti guardano gli investigatori privati, un po’ perché CARVALHO ricorda i maltrattamenti ed i soprusi subiti da giovane dalla Polizia e dalla Guardia Civil Spagnola.

ALICIA GIMENEZ BARTLETT a cura di Susanna Daniele

“Sono famosa non perché sia la più brava scrittrice spagnola di polizieschi ma perché sono l’unica”. Con questa boutade Alicia ha esordito al suo incontro torinese con i suoi lettori in occasione dell’edizione 2007 della Fiera del libro di Torino.
In Spagna è famosa al pari del nostro Camilleri: dai suoi polizieschi sono stati tratti nel ‘99 una serie televisiva in 13 puntate sulle avventure di Petra Delicado.
Non so se davvero sia l’unica donna che scrive polizieschi in Spagna ma il successo se lo merita tutto.
Come scrittrice di novelas nigras unisce la capacità di creare trame intriganti e al tempo stesso plausibili, molto documentate sugli aspetti della vita barcellonese, a un ritmo narrativo incalzante che non dà tregua al lettore fino all’ultima pagina.
Intorno alla vicenda poliziesca, portata avanti con dialoghi scoppiettanti e densi di umorismo, ci sono i suoi famosi personaggi: Petra Delicato, un ossimoro che la dice lunga sul tipo di poliziotta che cominceremo a conoscere fin dalle prime pagine del primo romanzo “Riti di morte”e Fermin Garzon, suo perfetto compagno di avventure poliziesche e alter ego, poliziotto di strada, amabile, umano, ottimista, con idee un po’ conservatrici e pieno di pregiudizi ma pronto ad abbandonarli. E’ lui il vero personaggio positivo fra i due.
Dall’incontro fra gli opposti la Gimenez fa scaturire dialoghi serrati al vetriolo, attraverso cui indaga la psicologia dei suoi personaggi e fa procedere l’azione in presa diretta.
In tutti i suoi romanzi i personaggi crescono, si evolvono, proprio come persone in carne ed ossa. La Gimenez ha la capacità dei grandi scrittori di farci entrare subito nel loro mondo e di farceli sentire vicini, di amarli o odiarli, a seconda dei casi, proprio come creature vere, mai “di carta”.
Nel corso delle varie storie il lettore li accompagna passo passo, a volte sentendosi perfino un po’ guardone, mentre si innamorano, fanno sesso, lavorano, affrontano i problemi quotidiani, mangiano, litigano, si lasciano, si sposano, insomma vivono. Viene spontaneo il parallelo con altre grandi figure di detective: da Pepe Carvalho di Montalban, anche lui barcellonese, a Salvo Montalbano di Camilleri, all’avvocato Guerrieri di Carofiglio, tutti mediterranei, molto tormentati ma pieni di humor, sempre autoironici.
Petra e il suo femminismo, le sue rabbie improvvise, la sua libertà sessuale fa parte dell’immaginario di molte donne della generazione che era giovane negli anni successivi alla morte di Franco e che ha vissuto il passaggio di una società ingessata a una più libera, anche nei costumi.
“Il romanzo giallo come veicolo per raccontare i vari aspetti della società in cui viviamo, inseriti in una struttura di suspence che affascina il lettore”: questo il succo di un intervento di Alicia Gimenez alla fiera del libro di Torino del 2007.
Una delle cifre della scrittura della G. è senz’altro l’umorismo ma anche il ritrarre la vita e la società barcellonese con le sue contraddizioni, le sue problematiche, i suoi segreti inconfessabili.
In “Un bastimento carico di riso” affronta e scandaglia la problematica dei senza tetto, in “Riti di morte” tratta la tematica degli stupri, in “Giorno da cani” affronta il tema delle scommesse clandestine, in “Messaggeri dall’oscurità” quello delle sette religiose, in “Morti di carta” il mondo della carta stampata e in “Serpenti in paradiso” la tematica si sposta sui rapporti all’interno della famiglia. Nell’ultimo, uscito da pochi mesi, “Nido vuoto”, si affronta un altro tema scottante, quello delle violenze sui minori.
Ma l’ex professoressa di letteratura spagnola, ormai prestata tempo pieno alla scrittura di novelas nigras, è una scrittrice poliedrica.
Il suo secondo romanzo in ordine cronologico, che precede tutti i polizieschi, è “Vita sentimentale di un camionista”, uscito in Italia nel 2004. Il protagonista è un dongiovanni dei tempi moderni, frettoloso e distratto fino alla crudeltà nei rapporti con le donne, fino a subire la stessa sorte. Da un tema apparentemente quotidiano e banale, la Gimenez ci mostra la sua maestria nell’entrare nella psicologia del personaggio e nel saperlo trattare in tutte le sue sfaccettature.
La prosa, secca, incisiva, asciutta, accompagna le azioni di un uomo, tutto sommato, semplice. “Manuale di sopravvivenza sentimentale” l’ha definito qualcuno. Secondo me qui sopravvive ben poco al turbinio dei sentimenti.
La Gimenez è anche la raffinata scrittrice di “Una stanza tutta per gli altri” in cui, attraverso gli occhi di Nelly Boxall, domestica di casa Woolf per lunghi anni, analizza la complessa personalità e i rapporti fra i vari componenti del gruppo di Bloomsbury ed in particolare di Virginia Woolf.
Nelly scrive un diario nella sua stanza, proprio come Virginia. Tutto il mondo dei piani alti della casa si riflette, come in uno specchio, nelle stanze dei domestici. Al gruppo intellettuale di Bloomsbury corrisponde quello del gruppo dei domestici, abituati alle idee progressiste e ai comportamenti liberi dei loro padroni e incapaci di trovarsi a proprio agio con altri.
Leggere il diario di Nelly è come guardare in casa Woolf dal buco della serratura: Nelly cambia nel corso degli anni e cambia il suo rapporto con Virginia, della quale per un periodo è stata innamorata. All’inizio prova ammirazione e affetto, poi gratitudine e rispetto, infine delusione, dopo aver capito quali rapporti sono intercorsi fra Vita Sackville-West e la Woolf.
Nel 2006 la Sellerio pubblica “Segreta Penelope”, romanzo che ritrae la generazione dei giovani spagnoli degli anni ‘70. Un romanzo non di formazione ma di ricerca a posteriori delle ragioni e delle idee di un’intera generazione, quella della scrittrice.
Il romanzo si apre con il funerale di Sara, un’amica della cerchia degli anni di università che ha scelto la fuga attraverso il suicidio. Inizia in casa dell’amica “io narrante” la processione degli amici di un tempo, dell’ex marito di Sara: tutti danno la loro versione dei fatti e della personalità di Sara e cercano un’assoluzione che allontani gli eventuali sensi di colpa.
La conclusione è amara: con Sara è morto il mito della libertà sessuale degli anni 70, dell’eros trionfante sull’ipocrisia. I ruoli tradizionali della donna moglie e madre si sono ancora una volta imposti modificando la natura di Sara e decretandone la fine.
Il femminismo di Sara potrebbe essere una chiave di lettura dell’atteggiamento anticonformista e libero di Petra Delicado?
Segnalo che è uscito da poco l’ultimo romanzo non poliziesco di Alicia Gimenez Bartlett: Giorni d’amore e inganno.
Quattro coppie si trovano in un piccolo villaggio in Messico. Sono ingegneri impegnati nella costruzione di una diga e le loro mogli. Paula, scrittrice fallita, ubriacona e isterica, Manuela, soddisfatta della sua vita borghese e di quello che riuscita a costruire in tanti anni di matrimonio, Victoria, quieta e taciturna fino a quando la sua vita non viene sconvolta da un amore travolgente, Susan, giovane americana insicura e infantile.
Nell’ambiente chiuso del villaggio esplodono dinamiche che mettono a nudo tutti i protagonisti della vicenda, uomini e donne. Nevrosi, insicurezze, insoddisfazioni da lungo tempo accumulate e represse esplodono sconvolgendo l’esistenza di ciascuno. Alla fine del romanzo, in una catarsi collettiva, ogni personaggio prende coscienza di se stesso e sceglie la propria strada.
L’analisi della vita quotidiana e interiore dei personaggi è condotta dalla Gimenez Bartlett con una precisione “scientifica” e al tempo stesso con penna leggera che tiene incollato il lettore alle storie che si dipanano fino alla catarsi.
Un romanzo sulla complessità delle relazioni uomo-donna, sull’amicizia, sull’amore, sulla passione, sull’erotismo. Nel complesso una bella prova d’autore.

MARSIGLIA a cura di Cristina Bianchi

Alcuni cenni storici e scenari
È il primo porto della Francia.
La città è stata fondata da marinai greci.
Abitanti: 821.000 (2005).
Suddivisione territoriale: 16 arrondissements, come Parigi.
Spirito di indipendenza verso lo Stato e le altre città della Francia, tant’è che per molto tempo ha avuto una propria amministrazione.
Nel caso di Marsiglia non si può fare riferimento ad una dittatura, bensì alla tirannia della mafia, la cui struttura organizzata è più forte di qualsiasi struttura politica.
Vanta il polo tecnologico di Chateau Gombert, il secondo di Francia.
Euromediterraneo è un progetto che conta di fare di Marsiglia la porta tra Europa e Mediterraneo, favorendo la promozione e la valorizzazione degli scambi commerciali e culturali. A questo proposito sono in atto importanti trasformazioni urbanistiche nell’area che va dal centro città al porto.
È inoltre in cantiere la costituzione dell’Area Metropolitana Marsigliese, che comprenderà 18 comuni dell’agglomerato cittadino che si uniranno per dare vita alla Comunità Urbana di Marsiglia.

AUTORI FRANCESI E NOIR MEDITERRANEO a cura di Giuseppe Previti

Nel panorama del giallo francese occupano un posto di rilievo due scrittori che hanno legato la loro attività a una città, Marsiglia.
Uno è JEAN CLAUDE IZZO, nato a Marsiglia, giornalista, poeta, sceneggiatore cinematografico e televisivo, impegnato politicamente. E' giunto tardi alla narrativa, divenendo presto famoso per la trilogia pubblicata nella “Sèrie Noire” di Gallimard, che ha per protagonista Fabio Montale, un ex-poliziotto. I titoli sono: “Casino Totale”, “Choumo” e “Solea”. Anzi, ad onor del vero, Montale nel primo romanzo è ancora in servizio, poi se ne andrà non condividendo certi metodi e certe posizioni ufficiali, ma sempre battendosi per un ideale di giustizia e di pulizia.
Sono romanzi e personaggi che coinvolgono; qualcuno ha detto che leggendo Izzo si piange facilmente perché si ha a che fare con i sentimenti, dall'amicizia all'altruismo, all'amore, cioè tutti argomenti che toccano la sensibilità di ognuno. E’ un eterno contrasto tra la Marsiglia apparentemente solare e bella a vedersi con i suoi colori azzurri, e la realtà dell'odio, della violenza, della morte.
Romanzi che hanno suscitato entusiasmi e passioni, in un contrasto tra il romanticismo di una vita che avrebbe potuto essere bella e il ritmo incalzante delle inchieste e delle loro tragiche conseguenze.
Jean-Claude Izzo amava profondamente Marsiglia e ne ha fatta la protagonista assoluta delle sue opere assieme al mare, alla salsedine. Tante storie in cui un poliziotto solitario che simpatizza per la sinistra, beve Cassis, mangia pesce, non ama particolarmente la pistola.
La Marsiglia di Izzo è baciata dal sole magrebino, è ricca di gocce di sangue misto, è lieta delle ragazze arabe che vanno per la Canabiére. Ma è anche la Marsiglia del pastis, del pesce, delle barche che si affollano al Vieux Port. In questa cornice da sogno agguati, sparatorie, inseguimenti, soldi facili, tanta miseria, razzismo, ma anche profonde amicizie e tanta malinconia.
Per il nostro autore i marsigliesi sono di sangue misto, un po' italiano, un po' spagnolo, un po' di tutte le latitudini. Attorno a questi personaggi e queste atmosfere ha scritto tre capolavori non solo per il noir francese, ma per il noir in generale, incentrando tutto sulla figura di Fabio Montale, un uomo che lotta contro il male pur smarrendo via via il concetto del bene.
Il successo di questi libri è stato travolgente, non solo sul mercato francese e ha fatto di Izzo un autore di culto che ha saputo dare una nuova linea, più calda e più romantica al polar francese.
Questo ha ripagato Izzo di una vita precedente vissuta tra molti stenti e incomprensioni. Peccato per lui che questo raggio di sole non sia durato a lungo. Un male incurabile lo ha portato via in poco tempo.
Singolare è la sua vita. Era nato da una famiglia di immigrati, padre italiano, madre spagnola, è cresciuto nei vicoli più umili, non brilla a scuola. Anche il servizio militare non è una passeggiata, finirà a Gibuti per punizione. Quando torna a Marsiglia si dà alla politica, fa il giornalista, scrive poesie, si occupa di teatro, scopre il jazz.
Nel 1978 cambia vita, divorzia dalla prima moglie, lascia il partito comunista. Diverrà un solitario, un pessimista e come tale modellerà il suo Fabio Montale.
Si trasferirà a Parigi ma la nostalgia per Marsiglia, la vita del porto, i suoi caffè è troppo forte e presto vi farà ritorno.
Comincia allora a scrivere “Casino totale” per far leggere qualcosa al figlio che è sotto le armi.
Crea un personaggio che è tutto il contrario di un eroe. Guida una R5, indossa giubbotti di pelle e calzoni sdruciti, ama la pesca e il silenzio, il che gli permette di osservare con calma e riflettere sul disordine sovrano che infesta il mondo.Si impegola in amori difficili, sta dalla parte dei poveri, è contro i paranoici dell'ordine e contro il fascismo del Fronte. Beve vino rosso, ama la menta, è un grande mangiatore di salsicce.
Il libro esce e avrà subito successo. Se “Casino totale “è la storia di una vendetta, “Choumo” è ambientato nel mondo dei trafficanti di uomini e di armi, mentre con “Solea” si entra nel mondo della mafia, con tanti omicidi e l'ultimo atto della vita di Montale.
Questo sacrificio trova la sua spiegazione in una bellissima frase scritta da Izzo: “A Marsiglia anche per perdere bisogna sapersi battere”. E si batte Jean-Claude, si batte il suo Montale, anche se alla fine sono destinati a soccombere.
Un marsigliese, il nostro autore, che usa il romanzo nero per farci intendere ben altro e che ha anche il coraggio di far morire il suo protagonista, perché quando Montale arriva ad uccidere lo delude profondamente e lui lo elimina.
E' stato accusato di troppo romanticismo, di ricerca del difficile, ma nelle sue pagine troviamo invece vero coraggio. Del resto lui prende spunto dai suoi idoli letterari, da Camus a Rimbaud.
La sua scrittura sembra una colonna sonora, una sorta di “rap”marsigliese di altissimo livello.

Un altro scrittore marsigliese che ha vissuto più o meno nello stesso periodo è stato JEAN-PATRICK MANCHETTE. Un singolare destino li ha accomunati. Anche Manchette è morto molto giovane, nel 1995, a soli 53 anni. La contrapposizione tra i due sembra inevitabile. Per molti Izzo ha superato Manchette. Questi era uno scrittore che sapeva cogliere quello che voleva il lettore, sapeva immedesimarsi nel divoratore di gialli, ma nelle cronache che scriveva per la rivista “Polar” balzava subito all'occhio la naturalezza con cui sapeva catturare l'attenzione del lettore.
Manchette smise abbastanza presto di scrivere romanzi, aveva grossi problemi di salute, continuò l'attività come critico di noir, salvo cessare anche quella. Fortunatamente per i suoi ammiratori e per chi ama il giallo in genere, due anni prima di morire riprese il dialogo con i suoi lettori. La sua scrittura piaceva molto, sempre molto diretta e convincente, non mancante di ironia.
Non è mai stato uno scrittore tedioso, il suoi scopo principale è stato, al di fuori dell'attività di giallista, quello di innalzare il giallo al livello più alto della letteratura. Molto amante del giallo americano, la sua teoria era che se in questo genere si cimentano dei grandi scrittori, a tutto diritto il giallo merita la definizione di letteratura a pieno titolo. Un Hammett o un Chandler nobilitano un'intera categoria. Più difficile si fa il discorso quando ci si avvicina ai tempi nostri, praticamente salva solo un Westlake o un McBain. Ma, al di là di questi giudizi sui singoli, è interessante il lavoro di saggista di Manchette, questo suo scavare dentro i vari scrittori, il tutto al servizio di un'idea che non può che compiacere gli amanti del giallo, ossia considerarlo una delle tante branche della letteratura.
Aveva una concezione quasi maniacale dello scrittore di noir, lo considerava un grande artigiano, padrone di uno stile e di una propria identità. Respingeva invece gli autori che scrivono per costruire macchine da successo, o indulgono in trame troppo meccaniche e scontate per essere vere. Il romanzo deve essere lineare ma dare anche piacere nel leggerlo. E principalmente l'autore deve far partecipe il lettore di quello che legge, immedesimarlo nel protagonista, allora il successo è assicurato, in omaggio alle vecchie regole del romanzo popolare.

Per concludere il discorso degli scrittori marsigliesi parliamo di RENE' FREGNI, da molti considerato il vero erede di Jean-Claude Izzo. Per Fregni, come del resto per gli altri due autori marsigliesi, maestri di un noir molto duro, quasi ingovernabile, lo scrivere è un dovere morale e lo stile è veramente tutto.
Renè Fregni ha conosciuto il carcere all'età di diciannove anni, una prigione militare. Ma è proprio in cella d'isolamento che conosce la scrittura, componendo poesie, leggendo gli scrittori più disparati, da Giono a Dostoevskij, a Genet. Successivamente è evaso, girando in lungo e largo per l'Europa, facendo mille mestieri, poi è ritornato in Francia dove ha lavorato in un ospedale psichiatrico. A contatto con la follia quotidiana ricomincia a scrivere commedie, romanzi e il successo è assicurato.
Certamente la vita di questi scrittori marsigliesi sembra un romanzo di per se stessa. La giovinezza difficile, la diserzione, il carcere, l'evasione, hanno arricchito le esperienze di Renè Fregni e ne hanno fatto uno degli scrittori di noir più interessanti in Francia.
Cerca sempre di non cadere nella trappola di chi gli chiede se si sente il legittimo successore di Izzo, insiste invece sul carattere autobiografico dei suoi romanzi che attingono ampiamente alle sue esperienze di vita. Una vita fatta di eventi forti, passioni ed emozioni sempre a livelli estremi, paure e violenze, certo è già un buon materiale per imbastirvi una storia. Unendovi una buona immaginazione e una discreta qualità di scrittura ecco spiegati i motivi di successo del Fregni.
Lui non rinnega la fase turbolenta della sua vita. Anche i momenti più difficili, tutto gli è servito per divenire uno scrittore, d'altra parte solo i grandissimi arrivano a inventare delle saghe chiusi all'interno dei loro studi, senza sentire alcun bisogno di prendere spunti dalla vita reale.
Il respiro dei libri è quello tipico delle atmosfere di Marsiglia, una città che considera un po' folle, sempre molto portata ad estremizzare tutto quanto vi avviene, dove uomini ora forti, ora braccati, ora pieni di paura vi si aggirano. Nei suoi libri sa far rivivere quel mondo pieno di angoscia e terrore che ha conosciuto all'interno delle carceri. La frequenza con molti di questi carcerati gli ha suggerito le azioni degli assassini dei suoi libri. Dove tratta di ossessioni dagli esiti imprevedibili, riuscendo anche a darci in grande impatto utilizzando una scrittura molto intima e assai pulita.
La sua maggiore abilità consiste nel saper fare coesistere azione e atmosfera, creando degli ottimi thriller, curandone molto l'aspetto psicologico ma sapendolo anche temperare con un tono poetico.
Insomma uno scrittore che sa far coesistere due generi abbastanza dissimili come il genere realistico e la pura poesia. Una scrittura morbida e sinuosa che però sa sempre dar vita a dei thriller mozzafiato.
Quanto al paragone con Jean-Claude Izzo, che del resto Fregni considerava un maestro oltre che un amico, molti non condividono quest'ansia di confrontarli a tutti i costi. Possiamo trovare dei punti in comune, come l'amore viscerale per Marsiglia, il che però non fa loro dimenticare che accanto alla grande bellezza esiste tanto degrado, l'amore comune per fatti di passione e sangue oltre a un comune tono poetico e a una ben spesa dose di ironia al servizio del thriller.
In conclusione, mai una città, Marsiglia, è stata cantata con tanto amore e passione, nel bene e nel male.

XAVIER-MARIE BONNOT a cura di Susanna Daniele

LA PRIMA IMPRONTA (Einaudi, 2007) è il primo libro di Bonnot
Trama
Il comandante della brigata criminale di Marsiglia, Michel De Palma, grande appassionato dell’opera lirica, ha alle spalle venticinque anni di onorata carriera nella polizia e di grandi successi: li prende tutti, lui, che siano trafficanti di droga o serial killer. Scompare una paleontologa dell’università di Marsiglia e De Palma entra in azione insieme alla sua squadra. Tre donne vengono uccise, una di seguito all'altra, in luoghi diversi ma con modalità che fanno pensare a un oscuro rituale preistorico, come se l'assassino avesse voluto celebrare un sacrificio umano. Nessuno crede che fra i tre omicidi e la morte di un esperto sub ci sia un legame, tranne De Palma, "il Barone", che si ritrova così immerso in un mondo ignoto, in cui ad appassionati d'arte preistorica e paleontologi si mescolano studiosi di riti sciamanici e malavita locale. Mondi arcani e spietati, sia quello preistorico che quello attuale, entrambi caratterizzati da riti di sangue.
Lo stesso Michel faticherà a non cadere nella trappola mortale dell'"uomo ucciso", la più antica rappresentazione di un assassinio nella storia dell'umanità graffita sulle pareti di una grotta preistorica nei dintorni di Marsiglia.
Critica
L’autore crea un intreccio godibile anche se forse fin troppo complesso, sicuramente non scontato. La protagonista sullo sfondo è Marsicho, detto alla provenzale, città detestata e amata, colta in tutte le sue contraddizioni.
“E’ una città nera, rugosa, violenta e dura. Un mosaico di popoli tormentato dalla disoccupazione.” Quindi nessun cedimento al folclore, “nessuna goccia di pastis in un piatto di parole” . La bellezza delle coste e del mare fa da contraltare ai quartieri poveri e degradati dove vivono gli immigrati nordafricani ma anche allo squallore dei moderni e anonimi complessi residenziali ricavati dall’abbattimento dei vecchi quartieri popolari.
Luci ed ombre caratterizzano anche nel protagonista e tutta la folla di personaggi che si muove intorno a lui: colleghi, delinquenti, studiosi della preistoria.
Trovo che la bellezza del romanzo risieda soprattutto nello spessore psicologico e umano dei personaggi. Dai protagonisti alle “comparse”, tutti sono colti nella loro essenza di uomini e donne, spesso dolenti e offesi dalla vita.
Non manca quindi la pietas e la con-passione dell’autore verso la sua città e verso l’uomo.
“Diciamo che la molla essenziale del romanzo giallo risiede nella trama, molto spesso poliziesca, e nel modo di trattare la psicologia dei personaggi. Secondo me, il giallo è uno spaccato dell’umanità. C’è sempre l’Uomo messo di fronte alla sua parte oscura, alla brutalità. Dopo aver letto moltissima "grande letteratura", ho riscoperto la forza di questo genere a lungo poco considerato.
Il giallo dice più sulla società di tante chiacchiere intellettuali degli scrittori che affollano gli incontri ad ogni inizio di stagione dei premi letterari”.

N.B. Le citazioni virgolettate sono tratte da un’intervista di Renè Barone a XMB. La traduzione dal francese è mia.

ATENE a cura di Cristina Bianchi

Alcuni cenni storici e scenari
Guerra civile greca (1945-49); Dittatura dei colonnelli (1967-74=17 anni).
Una schiera di rivoluzionari di sinistra, sconfitti dalle forse conservatrici in Grecia, si sono rifugiati in Francia. Quella degli studenti rivoluzionari del 1974 è la prima generazione della Resistenza di sinistra a prendere il potere in Grecia, mantenendo per vent’anni il governo. Questa storia mantiene ancora oggi un forte impulso nell’attualità politica del Paese.
Abitanti: comune di Atene = 720.000; area metropolitana = 3.800.000
Suddivisione territoriale: 48 municipi
Atene è oggi uno dei centri economico-finanziari più importanti dell’Unione Europea, grazie alle facilitazioni fiscali concesse agli imprenditori europei che volevano aprire imprese nel polo industriale ateniese.
Non c’è grande diffusione delle attività sul territorio greco: tutto è concentrato nell’enorme agglomerato urbano di Atene.
Le caratteristiche più evidenti dell’Atene di oggi sono il traffico insostenibile, il continuo allargamento dell’area metropolitana per dare spazio ai nuovi insediamenti industriali, una burocrazia farraginosa, un sistema fognario antiquato e non adeguato alla grande inurbazione degli ultimi decenni.
Atene è anche sede di numerose multinazionali greche e straniere che operano nell’area dell’Europa Sud-Orientale. Forse sarebbe il caso di dire che la porta dell’Oriente non è più Instanbul, ma Atene.

PETROS MARKARIS a cura di Cristina Bianchi

Màrkaris è di padre armeno e madre greca, nasce ad Istanbul nel 1937, ha studiato in Germania e Austria ed è tornato infine in Grecia. Non sa cosa sia il nazionalismo, che reputa un sentimento incomprensibile, che lo innervosisce.
Nasce come sceneggiatore e autore di teatro.
Porta la sua firma una serie poliziesca che per tre anni ha avuto grande successo alla televisione greca ed ha vinto la Palma d’Oro a Cannes nel 1998 per la sceneggiatura, insieme a Theo Angelopoulos, del film “L’eternità e un giorno”. Il diario della lavorazione del film è stato pubblicato nel 2000.
In un’intervista a Sherlock Magazine dice: “l’ambiente non è lo sfondo della storia, ma è uno dei protagonisti. Tra gli scrittori moderni che hanno compiuto un’operazione di questo genere ci sono Izzo e Montalban”.

I romanzi con protagonista il commissario Kostas Charìtos sono quattro (per ora):
1) Ultime della notte (2000)
2) Difesa a zona (2002)
3) Si è suicidato il Che (2004)
4) La lunga estate calda del commissario Charìtos (2007).
Charìtos è un personaggio nato tra il 1992 ed il 1993. È un piccolo borghese, un antieroe per eccellenza (“Non sono un Rambo, sono solo un greco complessato”). Ironico, talvolta sarcastico. Va in giro con una Fiat 131 Mirafiori.
Viene definito “il fratello greco di Maigret” e “il Montalbano di Atene”. Sulla copertina dell’ultimo libro, Camilleri scrive: “C’è la Marsiglia di Jean-Claude Izzo, c’è il mio Montalbano e c’è la Grecia di Markaris. Questo è stato il grosso passo in avanti fatto fare al romanzo giallo.”
Charìtos e la moglie sono spesso in conflitto: questo modo di rapportarsi con “l’altro” è molto tipico dei greci, che anche quando parlano normalmente, urlano e si accalorano, dando l’impressione di litigare.
Charìtos e la figlia rappresentano rispettivamente la Grecia della generazione post-dittatura e la nuova Grecia europea e globalizzata.
Nel primo romanzo scopriamo questo commissario che legge solo dizionari. Lotta contro la tecnologia (vedi bancomat), odia la televisione ed i giornalisti. In questa vicenda si intrecciano varie storie, caratteristica che rimarrà anche nei libri successivi: immigrati clandestini, ex-spie dell’Europa Orientale, trafficanti d’organi e cronisti troppo curiosi.
Nel secondo romanzo ci troviamo di fronte a due cadaveri: il primo appartiene ad uno sconosciuto ed è stato riportato alla luce da un terremoto sull’isola di Santorini. Il secondo invece appartiene ad uno degli uomini più ricchi e potenti di Atene. Anche qui gli scenari si alternano e talvolta si sovrappongono: locali notturni, squadre di calcio di serie C, società di sondaggi.
Nel terzo romanzo troviamo Charìtos in convalescenza dopo essersi imbattuto in una pallottola nel petto. Il commissario assiste ad una serie di suicidi commessi di fronte ad un pubblico (televisivo o di ospiti in un ricevimento). Lo scenario apocalittico di una città ostaggio dei lavori per le Olimpiadi, che l’hanno resa ancora più nevrotica e caotica, si affianca ad altri mondi paralleli: quello degli ex-attivisti rivoluzionari che hanno “fatto fortuna”, quello segreto delle trame politiche che hanno prima sorretto e poi affondato la dittatura.
In realtà il libro grida a gran voce uno dei capisaldi del pensiero di Markaris: non si può e non si deve cercare di sfuggire al passato. I greci non parlano volentieri della loro storia recente, della dittatura e di quello che ne è conseguito. Un popolo che non fa i conti con il suo vissuto non può guardare avanti (ci ricorda niente questo, a noi italiani?).
Nel quarto e ultimo romanzo invece i terroristi greci che dirottano il transatlantico (ricordo della Achille Lauro) hanno ottenuto l’impunità per aver combattuto a fianco dei Serbi contro i Bosniaci. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che anche i Balcani si affacciano sul Mediterraneo. Ma questa, come direbbe Lucarelli, è un’altra storia…

ALGERI a cura di Cristina Bianchi

Alcuni cenni storici e scenari
È il più importante porto dell’Algeria, di cui è capitale.
Il suo nome in arabo significa “le isole” e prende il nome da un gruppo di piccoli isolotti antistanti la costa della città, ora inglobati dalle barriere e dalle dighe foranee del porto.
Abitanti: 1.661.000 (2004)
Suddivisione territoriale: non ce n’è una vera e propria, ma la città è divisa in tre settori che corrispondono a diversi periodi storici.
La parte bassa risale all’epoca coloniale francese; la parte alta risale al 16° secolo ed è di fondazione ottomana; i quartieri periferici sono stati costruiti nell’era post-coloniale.
Un regolare servizio di traghetta la collega a Marsiglia.

Storia dell’Algeria a cura di Fabio Schiavetta
Per capire la situazione politica dell’Algeria di oggi e quindi il contesto dell’opera di Yasmina Khadra, bisogna risalire indietro nel tempo.
L’Algeria, come tutto il Maghreb (Marocco e Tunisia) nel 600 e 700 dopo Cristo iniziarono a subire l’influenza Islamica e divennero uno dei regni islamici che circondavano il Mediterraneo.
Da sempre, anche durante l’età Romana, il Porto di Algeri è stata la base dei Pirati del Mediterraneo.
Nel 1500 circa l’Algeria divenne parte dell’Impero Ottomano e Algeri continuò ad essere la base di partenza dei Pirati che razziavano il Mediterraneo.
Nei secoli successivi l’Impero Ottomano perse la sua forza fino ad arrivare agli inizi dell‘800 quando le potenze Europee (Francia e Inghilterra in testa) iniziarono a spartirsi anche il Nordafrica.
Nel 1818 il porto e la città di Algeri furono bombardati dai Francesi proprio per stroncare una volta per tutte il fenomeno della Pirateria nel Mediterraneo. Da qui iniziò l’influenza Francese sull’Algeria e poi su tutto il Maghreb.
Nel 1850 l’Algeria diventò una colonia francese a tutti gli effetti. Poi con il passare degli anni l’Algeria diventò qualcosa di più per i Francesi: divenne a tutti gli effetti territorio nazionale d’oltre mare.
Durante la II Guerra Mondiale Algeri fu Capitale della Repubblica libera di Francia guidata da De Gaulle, mentre il territorio metropolitano (la Francia Europea) era invasa dai Tedeschi.
Nel dopoguerra in tutta l’Africa e nel resto del mondo iniziò la decolonizzazione, quindi la Francia fu direttamente interessata a questa fase.
La Francia, fra tutte le ex potenze coloniali fu quella ad avere maggiori problemi, in Indocina ma soprattutto in Algeria. Infatti, come detto, mentre gli altri territori furono lasciati più o meno pacificamente, la Francia non riteneva assolutamente fare la stessa cosa con l’Algeria in quanto lo considerava territorio francese a tutti gli effetti, quindi era inconcepibile dargli l’indipendenza anche perché oramai vi erano molti “Francesi D’Algeria” ossia europei che oramai da decenni ed anche già da generazioni si erano stabilmente trasferiti in Algeria.
Logicamente tale visione non era condivisa dagli Algerini.
Per tale motivo iniziò una vera e propria guerra tra il FLN (Fronte di Liberazione Nazionale) e l’esercito Francese che portò alla morte di migliaia di persone su entrambi gli schieramenti.
Tale guerra iniziò nel 1954 e terminò nel 1962 quando i Francesi riconobbero l’indipendenza dell’Algeria. Fu particolarmente cruenta in quanto il FLN non si limitò ad attaccare obiettivi di Polizia o Militari, ma anche obiettivi civili. La Francia rispose con forza e violenza con rastrellamenti e operazioni di Polizia che in realtà furono veri e propri rastrellamenti militari con deportazioni e arresti di massa, torture e cruenti combattimenti.
In ogni caso nel 1962 la Francia decise di dare l’indipendenza all’Algeria perché si era resa conto che, pur avendo un vantaggio sotto l’aspetto militare, per mantenere un minimo di ordine e sicurezza nella nazione avrebbe dovuto schierare almeno 2500.000/300.000 soldati in maniera permanente (spese che non poteva certo sostenere).
Dopo l’indipendenza il potere passò al FLN di ispirazione islamica ma abbastanza laico e raggruppava diverse fazioni non sempre in accordo tra loro.
Di fatto le libere elezioni politiche furono rinviate per anni e il potere venne mantenuto dal FLN (con un legame economico con la Francia) fino al 1992.
Durante questi anni ci furono molti scontri tra fazioni integraliste islamiche e progressisti che volevano una nazione più laica e più “europea”.
Nel 1992 ci furono le prime elezioni libere che si dovevano tenere su due turni. Il primo turno fu largamente vinto dal FIS (Fronte Islamico di Salvezza) a discapito del FLN. Quest’ultimo, unitamente ai militari, non fece svolgere il secondo turno di elezioni e quindi mantenne il potere anche sotto la spinta “occidentale” che aveva paura che anche l’Algeria potesse diventare una repubblica Islamica come l’Iran.
Da quel momento è iniziata una fase ancora più convulsa e sanguinaria dove da una parte vi erano i vari gruppi integralisti islamici che facevano attentati e vere e proprie stragi anche di civili se individuavano o credevano di individuare villaggi che non erano compiacenti con le loro idee; dall’altra parte l’esercito ed i gruppi paramilitari esasperavano la situazione perché a loro volta facevano una dura repressione trucidando anche loro interi villaggi perché avevano il sospetto che potessero aiutare gli integralisti. Inoltre delle lobby di potere avevano l’interesse che venisse mantenuto questo stato di tensione proprio per evitare libere elezioni.
Vennero uccisi anche molti intellettuali: gli integralisti perché alcuni di loro erano stati membri del FNL, altri perché credevano in una nazione laica; i gruppi militari o para militari uccidevano altri intellettuali perché erano vicini all’integralismo islamico o semplicemente perché denunciavano la corruzione di chi aveva il potere.
In questo clima di tensione si svolgono le indagini del Commissario inventato da Khadra.


YASMINA KHADRA a cura di Susanna Daniele

Mohamed Moulessehoul nasce nel 1955 nel Sahara algerino da padre infermiere e madre nomade. Avviato alla carriera militare dal padre, per 36 anni è ufficiale di carriera nell’esercito algerino. Nel 1973 scrive la prima raccolta di racconti, Houria, che pubblica undici anni dopo. Durante gli anni in cui è ufficiale dell’esercito passa al polar perché, ha raccontato lui stesso al festival della letteratura di Mantova del 2006, era l’unico modo per raccontare il dramma algerino senza scioccare i lettori. I suoi primi romanzi furono respinti dall’editore algerino perché troppo crudi. Nel 2000 si congeda ed emigra in Francia proprio a causa della sua attività letteraria, invisa alle gerarchie militari.
Pubblica ancor oggi sotto la pseudonimo di Yasmina Khadra, nome della moglie.
In Italia si fa conoscere con il romanzo Morituri (Edizioni e/o). Seguono alcuni polizieschi (Doppio bianco, Edizioni e/o, La parte del morto, Mondadori) che hanno come protagonista il commissario Llob, voce coraggiosa in un’Algeri che sta lentamente scivolando verso il terrore del fondamentalismo.
Abbandonato il racconto delle avventure del commissario Llob, così credibili da sembrare un reportage sui prodromi della rivoluzione integralista algerina degli anni 90, seguono altri romanzi in cui viene analizzato il fondamentalismo islamico in Algeria (Cosa sognano i lupi?, Feltrinelli), in Afghanistan (Le rondini di Kabul, Mondadori), in Iraq (Le sirene di Baghdad) e in Israele (L’attentatrice, Mondatori).
Un’anticipazione che ho trovato nel sito di Yasmina Khadra.
Il prossimo libro, “Il bacio e il morso” uscirà in Francia in settembre. La storia si svolge nell’Algeria coloniale (1936-1962) con un salto nel dopo guerra (2008). Quattro giovani, un arabo, un ebreo e due francesi di cui un corso, crescono in un villaggio a una cinquantina di chilometri a ovest di Orano. I capovolgimenti del mondo (seconda guerra mondiale, nascita del nazionalismo arabo) sfioreranno appena la loro amicizia fino al giorno in cui arriva al villaggio una ragazza. L’amicizia resisterà all’amore e alla guerra d’indipendenza?
Il premio Nobel della letteratura 2003, J.M Coetzee, considera Yasmina Khadra uno dei maggiori scrittori contemporanei.
Yasmina Khadra ha vinto il riconoscimento « Créateur Sans Frontières » che gli è stato consegnato il 19 febbraio scorso dal ministro degli Esteri.

Avventure di genere poliziesco
L’opera letteraria di Y.K. è estremamente variegata e complessa. Inizia a scrivere molto giovane un’antologia di racconti pubblicata in Algeria, Crea quindi il personaggio dell’ispettore Llob e tutta una serie di personaggi che fanno da coprotagonisti e da sfondo alle sue indagini.
Y.K. senz’altro scrittore a pieno titolo di polar (equivalente del nostro giallo) perché ne padroneggia le difficile regole (intrighi, inchieste e la presenza di un commissario atipico, disperato e geniale) e al tempo stesso è uno scrittore di noir perché ci accompagna nella visita nei bassi fondi dell’umanità in cui anche gli eroi hanno le loro debolezze. A proposito dei polar, Yasmina Khadra scrive: "Pour moi, le polar est un mode d’expression aussi valable que les autres. Ce qui importe, dans la littérature, c’est la générosité, c’est-à-dire cette part de vérité qui éclaire les hommes en quête de tolérance et de communications » (citazione tratta dal suo sito web).

Ma un’analisi dell’opera di K non può limitarsi ai polar. Ci sono libri di ricordi (Lo scrittore), uno che si potrebbe definire un pamphlet (L’impostura delle parole), romanzi “psicologici” (Cugina K) e romanzi come Gli agnelli del Signore (non mi risulta essere stato tradotto in italiano), Cosa sognano i lupi?, Le rondini di Kabul, L’attentatrice, Le sirene di Baghdad che costituiscono una specie di reportage sui conflitti del medio oriente.

Mi limiterò quindi a citare brevemente i romanzi polar dell’autore in cui il protagonista è il commissario Llob.

MORITURI
La vicenda si svolge In una Algeri affarista, mafiosa. Il romanzo, scritto nel ‘97 ritrae l’Algeria degli anni della guerra civile, del bagno di sangue, dei massacri ripetuti che allontanano gli ultimi sogni portati dall’Indipendenza. I protagonisti sono il commissario di polizia Brahim Llob, musulmano moderato e malpagato servitore dello stato, e la sua squadra formata di Lino e Serdj. Nel corso dell’inchiesta Lino, un bellimbusto interessato soprattutto alla moda occidentale e al sesso, comincerà a capire a sue spese quello che sta cambiando nel paese e Serdj morirà orribilmente per mano degli integralisti.
Llob si trova a indagare fra la nomenclatura del regime che vive nella corruzione e nella mollezza e la ferocia dei nascenti gruppi integralisti che uccidono alla cieca, manovrati da cattivi maestri. Alla fine Llob scoprirà l’amara verità di essere stato usato come pedina da una delle fazioni in lotta.
La scrittura è poetica e umoristica al tempo stesso.
Il romanzo vince il premio “Trophee 813 del miglior romanzo francofono 1997”

LA PARTE DEL MORTO
Ancora un’avventura del commissario Llob nell’Algeria del 1988. Un amico psichiatra, già vittima della repressione governativa, avverte Llob del pericolo rappresentato dall'imminente scarcerazione di un suo vecchio paziente, uno psicopatico serial killer a cui il Raiss ha incomprensibilmente concesso la grazia. Appena liberato, il killer tenta di assassinare un mafioso che ha invece fama di eroe nazionale, e viene giustiziato dai servizi di sicurezza. E così Llob si trova coinvolto in un'inchiesta delicata che lo costringe a rituffarsi nella storia del suo paese, risalendo una catena di inganni, delitti, intimidazioni, fino a una notte del 1962 in cui vennero sterminate intere famiglie di 'harki' (algerini rimasti fedeli ai francesi). Scoprirà alla fine di essere stato manipolato da chi, dietro le quinte, trama la guerra civile.
Rapido e incalzante, con dialoghi duri e sferzanti in cui si esprime una violenza che è dappertutto, La parte del morto ci racconta la barbarie del regime e la paranoica disperazione di un popolo, ci descrive senza remore e con incontrastabile durezza un paese segnato da un clima di vendetta, dallo smarrimento dell'ideale nazionale, dalle epurazioni e dalla repressione, dalla delazione e dalla perdita della speranza.
Non c'è più nulla di bello, di buono, di positivo nella raccapricciante Algeri che ci viene messa sotto gli occhi, una città che ha smarrito l'anima e il cui squallore sarebbe completo senza la discreta ma struggente nostalgia di Llob per la sua bellezza passata.

COSA SOGNANO I LUPI?
Yasmina Khadra racconta le peripezie del giovane Nafa Walid che sogna di diventare attore ma che decide di prendere il primo lavoro che gli capita: autista di una ricca famiglia dei quartieri alti. Il giovane si trova così in un mondo di cui non sospettava neanche l’esistenza. Il sogno, però, non dura a lungo. Mentre cerca di farcela in qualche modo, la vita tranquilla e silenziosa degli anni ottanta cede il passo all’inizio esplosivo degli anni novanta. Le strade si popolano di uomini barbuti, i megafoni delle moschee si fanno minacciosi e, sotto la spinta dei giovani veterani della guerra contro i sovietici in Afghanistan, i poveri si mettono a sognare di rivincita. Nafa all’inizio non riesce nemmeno a capire quello che succede ma poi si lascia allora affascinare da un gruppo di fanatici islamici, diventando prima uno zelante combattente e poi un omicida senza scrupoli.

DOPPIO BIANCO
Il diplomatico Ben Ouda, vecchio amico del commissario Llob, lo convoca per parlargli di un memoriale segreto in cui vorrebbe raccontare quello che conosce in ragione della sua attività. Di lì a poco viene trovato atrocemente assassinato. Il suo giovane compagno e amante, Toufik Salem, si getta da una finestra del 5° piano. Il commissario Llob indaga in una Algeri ormai in preda al terrore.
“Ad Algeri certi quartieri sembrano venti fuori dalla notte dei tempi. Le loro glorie sono lettere morte. La loro storia un delirio. Esistono solo per ossessionare le menti. Nient’altro che musei sotto sequestro e muse con le museruole, snobbati da un sole che anche di giorno si limita ad avvolgerli in una notte bianca”.(Citazione da Doppio bianco).

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