sabato 23 gennaio 2010

INTERVISTA A SERGE QUADRUPPANI

A chi ama il noir francese Quadruppani è un nome noto. Personalmente mi opiace moltissimo il suo stile e mi riprometto di scrivere sull'ultimoromanco tradotto in Italia: Rue de la cloche (Marsilio).
Ho avuto la fortuna che mi accordasse un'intervista sulla sua attività di scrittore, traduttore, giornalista.

L'intervista la trovate su Thriller Magazine http://www.thrillermagazine.it/notizie/9245/ e mi farà piacere se lascerete dei commenti. In ogni caso eccola qui di seguito.

INTERVISTA A SERGE QUADRUPPANI

a cura di Susanna Daniele


Traduttore, giornalista per Liberation e Le monde diplomatique, scrittore di noir, saggista. C’è un filo rosso che lega queste molteplici attività?

Non sono giornalista, sono soprattutto scrittore (una trentina di libri pubblicati in Francia, cinque tradotti in Italia). Su Libération ho scritto una volta, su Le Monde diplomatique lo faccio quando penso di avere qualcosa da dire. Scrittore vuol dire romanziere e anche saggista (quattro saggi pubblicati in Francia) perché voglio parlare del mondo dove vivo con tutti i mezzi: la fiction ma anche la teoria e poi cerco sempre di mescolare le due cose, fiction e teoria, sempre di più.

Lo scrittore e traduttore inglese Tim Parks in un’intervista rilasciata a Il Sole 24ore del 10 gennaio scorso sostiene che i giovani scrittori confezionano le loro storie tenendo presente i lettori stranieri. La traduzione, soprattutto in inglese darebbe loro la patente di “scrittore internazionale”. La conseguenza di questo assioma sarebbe che pensare di promuovere un dialogo fra culture attraverso la traduzione è diventato un sogno da ingenui. E’ d’accordo con questa analisi?

Non capisco perché sarebbe un sogno da ingenui. Il dialogo tra culture attraverso la traduzione esiste, sono rarissimi gli scrittori del pianeta che non hanno letto scrittori tradotti e che non sono stati influenzati da questa lettura. Poi, dei piani di carriera dei giovani scrittori, non posso parlarne, perché sono vecchio, perché i piani sono sempre campati in aria e se sull’aria si può edificare delle belle costruzioni immaginarie, non si può campare e poi, per dirla tutta, se la gente che ha piani di carriera è delusa, sono molto contento. I giovani che hanno piani di carriera sono già troppo vecchi per giocare con me.

Come direttore della collana “Suites italiennes” delle edizioni Métaillé, quale opinione si è fatto della letteratura noir italiana degli ultimi anni?

Se volete paragonare le mie scelte nella collana (Camilleri, Evangelisti, Wu Ming, De Cataldo, Lucarelli, Carlotto, Machiavelli, etc.) vedrete che corrispondono in gran parte agli scrittori che i Wu Ming hanno poi dato come esempi del New Italian Epic. Ma ho iniziato a fare queste scelte molto prima che loro inventassero questo concetto. Penso che intorno al Noir italiano è nata una corrente, uno slancio (non parlo di “scuola”) molto nuovo e molto interessante nella letteratura italiana. La cosa più interessante, forse l’unica in una letteratura che altrimenti sarebbe noiosissima quanto quella francese (ma ci sono alcuni autori francesi, certo, che valgono la pena di essere letti – pochi). Quello che accade in Italia intorno al NIE è uno dei rari fenomeni incoraggianti in un panorama socio-culturale disastrato (basta dire due parole per riassumerlo: Rosarno, veline).

Quali sono gli autori italiani più amati dai lettori francesi?

Camilleri, De Cataldo sono tra i più conosciuti e amati. Tra i scrittori che non pubblico e che amo, posso citare Erri De Luca. Ci sono anche le grandi cariatidi (nel senso che sostengono una cultura classica italiana che sta cadendo a pezzi, come quella francese, ripeto. Non è un fenomeno limitato ai nostri due paesi) tra cui posso citare quelli che riesco a leggere con un certo piacere: Eco, Magris, Tabucchi.


Una domanda allo scrittore: secondo lei le regole del genere “poliziesco” sono una gabbia che imprigiona la fantasia dell’autore o al contrario costituiscono uno stimolo?

Non so bene quale sono queste regole. Diciamo che se c’è bisogno di una bella “ammazzatine”, come dicono a Palermo, seguita della domanda whodunit? E poi di alcune false piste e di scoprire alla fine la soluzione, diciamo che se è questa la regola, mi pare che giocare con la regola è anche un modo di ringiovanire il genere. Tutti il libri che mi piacciono e che pubblico non sono mai dei “noir” o dei “gialli” in un senso stretto, sono sempre “noir e non solo”.

Pensa che la letteratura di genere possa o debba avere anche una funzione “sociale” nel senso di interpretare i mutamenti e le contraddizioni della società contemporanea?

La letteratura in generale e dunque anche la letteratura di genere mi interessa veramente quando mi racconta delle storie in cui entrano tutte le dimensioni umane, dunque anche e sopratutto la dimensione sociale. Mi deve parlare anche di mutamenti e di contraddizioni, della società di oggi o di quella di ieri. Ma questo “deve” mi infastidisce un po’: lo scrittore fa quello che gli pare, poi vediamo se a me, lettore, piace. Forse verrà uno scrittore che saprà raccontarmi il suo ombelico in un modo sconvolgente da farmi ridere, piangere… chi sa? Per ora, devo confessare che tutti quelli, sia in Francia sia in Italia, che mi hanno parlato del loro ombelico, anche se l’ombelico è carino (quando sono giovani scrittori che scoprono che soffri se sei lasciato, per esempio), mi hanno costretto a lasciare cadere il libro dopo due pagine.

In Italia si è assistito alla nascita di una letteratura gialla a livello regionale, non solo per quanto riguarda l’uso della lingua italiana impastata al dialetto ma anche per l’ambientazione geografica e sociale. E’ accaduto qualcosa di simile anche in Francia?

No, niente che si possa paragonare. Sulle orme di Izzo, alcuni hanno tentato di inventarsi una “scuola marsigliese” ma è stato soprattutto un effetto marketing senza spessore (anche se ci sono alcuni scrittori marsigliesi molto bravi).

Un suo articolo sul sito carmillaonline.com (in italiano n.d.r.), sito che si occupa prevalentemente di letteratura di genere, contiene una profonda disamina dell’opera di Manchette, suo amico. In che senso può essere considerato un modello per gli scrittori di noir?

Manchette, che era molto influenzato da un modo di pensare rivoluzionario (il situazionismo), non si vedeva come un modello. Non ha mai accettato di essere considerato, come lo volevano i giornalisti, il “padre del néo-polar”. La sua scrittura riesce a fondere le esigenze del behaviorismo tipo Hammet con uno sguardo radicalmente critico sulla società, più alcuni momenti di poesia pura. Se qualcuno vuole provare ad imitarlo, può sempre tentare!

Lei si è interrogato a lungo sulla storia del terrorismo in Italia, come anche altri scrittori francesi. Quali sono i motivi dell’interesse per una stagione politica italiana storicamente conclusa ma per molti versi ancora politicamente controversa?

La risposta è nella domanda: la stagione è conclusa ma ancora politicamente controversa. E non mi pare che ci siano soltanto scrittori francesi che provano questo interesse. Mi pare che in tutto il mondo tutti quelli che pensano che il capitalismo non è l’orizzonte eterno della storia umana (e sono parecchi), aspettano che gli italiani riscoprano questo periodo, quello della tragica farsa della lotta armata ma anche quello del più vasto movimento sociale anticapitalista dopo la seconda guerra mondiale, e che facciano questa riscoperta con uno sguardo liberato dal revisionismo politico-mediatico dominante.

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